“Nel 2014 ci sarà un aumento incontrastato dei mezzi di trasporto. Molti voleranno: ci saranno sempre più aerei ma anche mezzi che viaggeranno a un piede o due da terra. […] Ci saranno veicoli guidati da robot. I viaggi si potranno programmare verso destinazioni diverse. La guida non avrà le interferenze dei riflessi umani…” (Isaac Asimov)
Domandiamoci se la distopia tra le aspettative per un futuro nel quale la tecnologia avrebbe risolto ogni problema e una realtà più cinica e pessimista non dipenda solo da un errato modello di interpretazione tra il sapere scientifico e la capacità di condivisione della nostra società…
“Droidi, sembra ci sia una sorta di veicolo dotato di ruote, con uno o due occupanti armati. E mi piacerebbe vederli morti.” (dal film Elysium)
Anno 2154: l’umanità sopravvive sul pianeta Terra trasformato in un’unica grande bidonville, relegata al ruolo di classe operaia ed è governata, attraverso una forza di polizia robotizzata, da una minoranza elitaria che invece vive su di una splendida enclave orbitale, dei immortali grazie ad una tecnologia in grado di guarire “ogni” malattia.
Questi, almeno, sono i presupposti del film Elysium, diretto dal bravo regista sudafricano Neill Blomkamp e piena metafora di alcune “tendenze” socio-economiche dei nostri giorni.
Stiamo parlando di aspirazioni quali l’accesso alla sanità, all’acqua, al cibo, alla sicurezza, al lavoro, alla cittadinanza e, in generale, ad una vita migliore, diritti considerati si convenzionali, ma che rimangono (troppo) spesso solo sulla carta.
Così. ad esempio, pochi forse sanno che i farmaci (anche quelli cosiddetti “salvavita”) sono oggi equiparati a qualsiasi altro prodotto commerciale, dovendo quindi sottostare alle rigide regole imposte dalla Banca Mondiale e dalla Organizzazione Mondiale del Commercio.
Quindi, parlando di globalizzazione forse dovremmo piuttosto riferirci a quella serie di organismi sovranazionali che, rispondendo unicamente a logiche proprie dei consigli di amministrazione, condizionano le politiche sociali (sanitarie, sociali, assistenziali, etc…) tanto nei paesi emergenti quanto nel vecchio continente.
In questo la Fantascienza e (ribadisco) la metafora proposta dal film Elysium non fanno che interpolare tendenze che sono già in atto: facciamo un salto indietro di qualche anno…
Anno 1978: la Dichiarazione di Alma Ata sancisce per l’umanità un ambizioso obiettivo: “Salute per tutti nell’anno 2000”.
Anno 2001: quattro tra le più grandi multinazionali del farmaco (Merk, Pfizer, Glaxo Smith Kline, Lilly) abbandonano il Sudafrica colpevole, a loro avviso, di aver aggirato l’esclusiva dei brevetti importando i medesimi farmaci direttamente da paesi come l’India (la cosiddetta “farmacia dei poveri”) dove sono prodotti a prezzi enormemente inferiori.
Anno 2002: un sistema di barriere fisiche lungo circa 700 chilometri, muri, trincee e porte elettroniche, viene costruito da Israele in Cisgiordania allo scopo ufficiale d’impedire fisicamente intrusioni nel territorio nazionale.
Ed ancora, per completare il quadro sociologico:
Anno 2003: viene pubblicato uno studio (pubblicato in Italia sul numero 104 della rivista Reset) a cura del sociologo Robert Putnam che descrive un sondaggio realizzato su vasta scala attraverso gli Stati Uniti in merito alla “qualità delle interazioni sociali” di una società multietnica; da questo “emerge che la diversità non ingenera «cattivi rapporti interrazziali», né un´ostilità tra gruppi definita dalle etnie. I cittadini di comunità eterogenee, piuttosto, tendono 1) a ritirarsi dalla vita collettiva e a diffidare di quanti li circondano, a prescindere dal colore della loro pelle; 2) ad allontanarsi anche dagli amici più stretti; 3) ad aspettarsi il peggio dalla propria comunità e dai rispettivi leader; 4) a ridimensionare le attività di volontariato e le opere di beneficenza; 5) a impegnarsi di meno in progetti comunitari; 6) a recarsi con minore frequenza alle urne elettorali; 7) a mobilitarsi con più grinta per le riforme sociali, ma con minore speranza che le stesse possano segnare una differenza; 8) a restare ore e ore tristemente incollati alla televisione.”
Se non fosse per la paura di perdere i privilegi che il benessere ed il “welfare state” che le nazioni occidentali ancora garantiscono ai loro cittadini, non vi sembrerebbe forse “un pochino” eccessiva questa paranoia (come viene definita nello studio di Putnam) dell’invasione, che si esplica nella volontà di “proteggersi” da coloro che, ogni anno in numero maggiore, prendono la via dell’esilio verso la terra promessa che essi immaginano come terre di speranza?
Di fatto, nell’impossibilità di bloccare i massicci flussi migratori, le popolazioni native originarie rinforzano le frontiere, erigono barriere invalicabili e costruiscono muri sempre più alti: agli ostacoli e alla separazione fisica si aggiunge però lo strumento della criminalizzazione: l’uso di termini come “immigrato illegale” o “clandestino” pone nuove barriere, questa volta giuridiche, volte a creare in maniera artificiale nuove categorie di sottocaste che si vorrebbero prive di diritti elementari come ad esempio – combinazione! – l’accesso ai servizi sanitari.
Anno 2009: l’Italia, che da tempo aveva posto in essere negoziati volti ad introdurre una forma di cooperazione bilaterale con la Libia (una delle tappe intermedie per le migrazioni che attraversano il Mediterraneo) nelle operazioni di contrasto all’immigrazione via mare, riesce a ad ottenerne l’applicazione sul piano operativo per combattere l’immigrazione clandestina lungo le rotte marittime del Canale di Sicilia tramite i famigerati respingimenti in mare. Il contenuto dei tali accordi, parte dei quali risulta ancora oggi coperta dal segreto di Stato, ha suscitato più di un dubbio di compatibilità con l’ordinamento giuridico-costituzionale italiano oltre che con il diritto internazionale e si è tradotto nella condanna da parte della Corte Europea.
Anno 2011: lo stesso problema si ripresenta in nord Europa e così la civilissima Danimarca sposa la proposta del Partito popolare (che incarna lo spirito dell’ultradestra xenofoba, euroscettica e anti-islamica) di un muro per contrastare i flussi migratori: ovviamente non è lo stesso “muro” che cinquant’anni prima divideva in due la Germania, ma un complesso sistema di sbarramenti e misure di sicurezza che prevede barriere in autostrada e pannelli elettronici per imporre limiti di velocità agli automobilisti nei pressi dei caselli autostradali, in modo da agevolare le azioni di controllo da parte della polizia..
Anno 2012: le forze di sicurezza americane tornano a pattugliare in armi il Rio Grande con delle barche veloci dotate di mitragliatrici e cannoncini per dare la caccia a narcos e clandestini: l’amministrazione Obama autorizza l’acquisto di 40 vedette blindate veloci affidate alla guida della polizia di frontiera del Texas, con a bordo specialisti di diverse agenzie di sicurezza federale e affiancate da elicotteri, aerei e droni per il pattugliamento dei confini.
Anno 2013: si dice che Kibera sia la madre di tutte le bidonville planetarie, un classico agglomerato di case di cartone, di fogne a cielo aperto, bambini che campano di sola colla e poi furti, stupri, omicidi, uno scenario apocalittico alle porte di Nairobi, con la più alta concentrazione di malati di HIV di tutto il Kenya.
Da Kibera oggi partono i nuovi migranti verso l’Europa, una sorta di Elysium come quella della mitologia moderna di un film che, nonostante il lieto fine, purtroppo non spiega come i benefici di una la tecnologia (che non sia quella un po’ magica di Star Trek) possano venir ridistribuiti in maniera solidale a tutta la popolazione mondiale.
Bene, sin qui abbiamo giocato con la Storia e la Fantascienza, ma se volessimo parlare seriamente del futuro?
La certezza sembra essere che, al momento non possiamo fare molto – a parte combattere ogni forma di razzismo e di discriminazione – ma così continuerà ad essere fino a che non saremo finalmente in grado di coniugare la parola diritto con la parola equità.
Vale la pena rifletterci su, non trovate?
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