“L’essenza della lettura è esplorare, pensare in maniera profonda, seguire la propria immaginazione” (Amy Thibodeau) – Il nostro cervello, nelle normali condizioni, opera sulla base di schemi, vere e proprie mappe mentali che di solito risultano essere funzionali; almeno in gran parte delle situazioni. Esistono però degli speciali domini che possono essere attraversati solo uscendo dagli schemi consolidati…
“La paura è il demone più sinistro tra quelli che si annidano nelle società aperte del nostro tempo. Quella che ci è entrata dentro, snaturando le abitudini quotidiane, è una paura nuova. A covarla e alimentarla provvedono l’insicurezza del presente e l’incertezza sul futuro. Queste condizioni nascono da un inedito senso di impotenza: sembra che non controlliamo più nulla, né soli né collettivamente.” (Zygmund Bauman)
E’ cosa nota come il classico racconto attorno al fuoco di un campeggio estivo è l’esempio più significativo della nostra necessità di esorcizzare le paure, di immedesimarci in altri ruoli, di vivere esperienze altre (oggi diremmo virtuali) dalla realtà quotidiana.
Se tutto questo (spreco di energia) fosse riconducibile ad un semplice retaggio dell’evoluzione (un po’ come la milza che, si sa, non serve a molto salvo a far male quando si corre troppo), non dovremmo preoccuparci più di tanto.
E, certo, i nostri antenati vivevano una preistoria su di un pianeta a loro poco comprensibile se non attraverso la creazione di miti personali e collettivi.
Eppure, come sostiene Jonathan Gottschall l’uomo è “ l’unico animale che non può vivere senza racconti, cioè senza produrre e consumare continuamente affabulazioni, invenzioni, fantasie. Elabora racconti persino quando dorme in quelle libere fiction autogestite che sono i sogni, di cui è più spettatore che regista”.
Nessun lusso dunque nella nostra componente immaginativa, ma una peculiarità profondamente radicata, che riscontriamo nel gioco (di ruolo) dei bambini come nel vissuto (immaginario) degli adulti.
Poi però le cose (e ti pareva) si complicano.
Proprio sulla base di alcuni schemi pregressi e che abbiamo ormai cristallizzato nella nostra corteccia cerebrale, veniamo indotti a prendere decisioni e ad emettere giudizi (troppo spesso sotto forma di pregiudizi), non tanto sulla base di evidenze (ancorché mai incontrate prima) ma piuttosto interpretando (pigrizia? stupidità? dinosaurità?) il reale tramite schemi e rassicuranti soluzioni standard.
Non una nuova correlazione logica o semantica, ma tanta irrazionalità, che ci fa ricadere sempre e inevitabilmente negli stessi errori; cosa che la Storia del pianeta Terra dovrebbe aver insegnato ai suoi testardi abitanti.
E, proprio nel XXI secolo le cose si sono ulteriormente complicate, con l’adozione di un sistema di connessione sociale estremamente complesso: la vita delle informazioni (e degli eventi), sull’Internet, ha una velocità (e quindi una criticità da gestire) ben diversa da quella del mondo reale.
Tuttavia, vantaggi e svantaggi della Rete a parte, risulta chiaro a tutti che nel mondo vero, come nel mondo virtuale, servono solidi criteri di giudizio, come dire buone basi di navigazione stellare.
E’ infatti anche questa cosa nota, che le persone tendano a negare alcune evidenze se nella loro cultura questi aspetti sono dichiarati “tabù”, come pure esiste una netta preferenze alla presupponenza (sintetizzata dall’espressione: “Ve l’avevo detto io!”) e tutta una lunga serie di quelle che gli scienziati dell’Enteprise hanno riconosciuto con il termine di incapacità metacognitive.
In questo entrano in gioco tanti fattori, alcuni atavici, come la paura (emozione, istinto, sensazione, argomento insomma con il quale abbiamo introdotto il discorso) che blocca qualsiasi decisione per il timore di prendere la strada sbagliata.
Ecco forse svelato (almeno parzialmente) il senso dell’innata capacità immaginifica umana: trovare interpretazioni alternative e da queste nuove soluzioni ad un problema.
Perché difficilmente una stessa risposta va bene a differenti esigenze che si possono ripresentare certamente in maniera simile, ma mai uguali a se stesse: alla fine tutto si riconduce ad un problema di misura relativa (“I bit sono stati creati uguali. E’ il loro valore nei diversi contesti ad essere diverso.”), di punti di riferimenti e, soprattutto, di cultura.
La quale inequivocabilmente si basa sulla narrazione (nella sua formulazione più classica come in quella fantascientifica che si adatta ai tempi tecnologici che viviamo) sulla condivisione delle mitologie immaginarie e, perché no, anche sui sogni ad occhi aperti…
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