“La verità si manifesta sempre nell’intreccio di cose opposte, in un discorso irrispettoso del principio di contraddizione”. – E’ il tormentone etico/becero di un’estate che vive di grandi contrasti, ma soprattutto è uno dei principali eventi che caratterizzano questo inizio di millennio sul pianeta Terra…
Il soccorso nelle catastrofi – recitano i sacri testi – ha lo scopo di fornire una risposta corretta quando le risorse sono insufficienti rispetto alle necessità dell’evento: questa è la definizione di emergenza secondo la Protezione Civile.
Il concetto, che sembra semplice e prevede una soluzione certa, si basa sull’integrazione delle varie componenti dei soccorsi; purtroppo (e lo vediamo ripetersi ad ogni calamità) le cose non vanno mai come preventivato e sperare nel meccanicismo di un’equazione potrebbe non essere la cosa più saggia.
Così, ridurre un fenomeno complesso – come ad esempio le grandi migrazioni di massa cui stiamo assistendo – ad un semplice effetto domino, gestibile a piacimento arrestando la caduta dell’ultima tessera, è forse segno di miopia (o di malafede) e di analfabetismo funzionale.
Soluzioni draconiane come “A tanti immigrati devono semplicemente seguire tanti soccorritori” oppure “se affondiamo tutti i barconi non avranno di che viaggiare” sono come gli elementi di una farmacologia che (temporaneamente) cela il sintomo palese, ma non cura affatto la malattia al punto da far temere a dei veri e propri placebo sociali.
Ma, ribadisco, non è un fatto di mera competenza specialistica, allorché, come sosteneva Primo Levi “…la competenza non ha surrogati …… La buona volontà, il coraggio, lo spirito di sacrificio, l’ingegno estemporaneo non servono a molto, anzi, in mancanza di competenza possono essere nocivi… Agli uomini di buona volontà è promessa la pace sulla terra, ma nelle situazioni di emergenza, guai a chi si fida dei soccorritori che dispongono solo di buona volontà”
Domandiamoci allora cosa direbbe il professor John Keating (ricordate il film “L’attimo fuggente?”) dell’Equazione di Bernini Carri, quella che enuncia: “l’intensità di un fenomeno (Q) è direttamente proporzionale all’intensità dello stesso (n) e indirettamente proporzionale alle risorse esistenti per gestirlo (f) per il tempo nel quale esso si sviluppa (t)” n/f*t=Q” ?
Forse citerebbe a sua volta l’astrofisico Stephen Hawking: “Noi siamo il prodotto delle fluttuazioni quantistiche presenti nell’universo primordiale. ”
Perché il nostro pensiero non è un semplice algoritmo, è a sua volta un sistema non lineare e complesso, ovvero – in parole più semplici – sappiamo fare meglio di un computer ponendoci anzitutto domande che, rivelandosi corrette, potrebbero aprire la via a nuovi punti di vista e a nuove narrazioni.
Grazie a queste potremmo, ad esempio, accettare (essendo onesti fino in fondo con noi stessi) che tutto ciò che oggi ci offende/spaventa è, nella stragrande maggioranza dei casi, il disvelamento di quelle parti di noi che non ci piacciono e che ci terrorizzano.
Quell’abisso fatto di contraddizioni che vediamo “la fuori” è in realtà il nostro personale abisso specchio e, se oggi correggere i guai collettivi e globali ci può apparire come impresa epica e sovraumana, forse proprio grazie ad una ritrovata mitologia personale (e collettiva) potremmo magari ritrovare la via del ritorno (come migranti dell’animo) verso Itaca…
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