“Where is the wisdom we have lost in knowledge? Where is the knowledge we have lost in information?” (T.S. Eliot) –Il fatto è che, a una sempre maggiore quantità dei flussi informativi, non sempre corrisponde un’effettiva nostra contezza delle informazioni che sono qualitativamente importanti. E, a una potenzialità tecnologica in crescita esponenziale, sempre meno è efficace (se pure è presente) il controllo che possiamo esercitare…
“Purtroppo, il recupero delle informazioni, per quanto veloce, non sostituisce la scoperta, mediante ispezione personale diretta, di conoscenza della cui stessa esistenza può darsi non ci si sia mai resi conto, e il seguirla secondo i propri ritmi lungo le ulteriori ramificazioni della letteratura pertinente.” (Lewis Mumford)
Siamo umani, e su questo non ci piove, ma l’impressione è che la nostra crescita personale e collettiva sia in qualche modo rallentata (se non inibita)dai tanti supporti tecnologici dei quali facciamo uso per la gestione, trasmissione e ricezione delle informazioni.
Tutto questo nonostante lo scenario di “Information overload” nel quale ci ritroviamo immersi, sia stato largamente previsto dalla narrativa fantascientifica del secolo scorso: la sensazione è che, a fronte di un rapido mutamento del quadro ambientale, sia venuta a mancare la caratteristica più tipica della nostra specie: l’adattabilità cognitiva.
“A noi qui non interessa il nodo giuridico, bensì l’etica e la qualità dell’informazione”
Ricorrendo alla saggezza dei nostri avi – quella cultura rurale che un tempo si tramandava attraverso le tipiche frasi proverbiali -dovremmo ricordarciche “Il troppo storpia”.
Ma non è il punto: a fronte di un problema come la ridondanza di rumore informativo, esistono già soluzioni tecnologiche in grado di filtrare “la crusca dal grano”.
Il fatto è che non stiamo più“coltivando” la persona e le sue qualità cognitive, ma demandiamo a nuove protesi, controllate da invisibili burattinai, il compito di decidere ciò che per noi è “in ordine di rilevanza”.
La cosa in se potrebbe anche funzionare (dopotutto è il modello di crescita che ci siamo dati a partire dal secondo conflitto mondiale del secolo scorso), ma il rischio implicito dovrebbe essere palese.
Il problema generale non si riconduce,infatti,alla mera questione se sia socialmente etico accettare a-criticamente le soluzioni che ci vengono prospettate a fronte dei nuovi guai con in quali ci ritroviamo a combattere quotidianamente: no, il fatto è che non stiamo preparando le nuove generazioni alla ricerca di risposte alternative e creative.
Il pensiero originale, quello che porta a osservare il mondo secondo schemi di pensiero innovativi, dovrebbe venire valorizzato nelle persone con la stessa passione con la quale accettiamo di interagire con strumenti sempre più tecnologicamente complicati e prestanti.
“Tutto quello che hai sempre voluto si trova dall’altra parte della paura.” (George Addair)
A farla breve, il rischio è quello di trasfigurare le macchine,i nuovi schiavi più o meno sapienti, in Oracoli, ovverobelle scatoline, luccicanti all’esterno, ma impenetrabili al loro interno.
Pur riconoscendo in tali dispositivi un afflato di conoscenza,rimane però il fatto che questi ci rispondono sulla base di algoritmi a noi sconosciuti: ma saranno veramente funzionali a risolvere i problemi della nostra vita o favoriranno piuttosto“i sacerdoti del codice nero”?
E, quali dovrebbero essere,allora, le soluzioni da adottare?
- pretendere la trasparenza.
- non accettare soluzioni che non siano effettive ai fabbisogni veri.
- essere curiosi.
- accrescere il patrimonio culturale delle persone.
- rivalutare il ragionamento, la filosofia, la logica del pensiero.
- premiare la saggezza più dell’apparenza o del fragore.
In una sola parola: evolvere.
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