Il tema dell’editoriale di WebTrek Italia per questo mese verte sull’omologazione delle idee, sull’indifferenza e sull’ignavia che (troppo) spesso dimostriamo verso situazioni appena al di là del nostro giardino: mondi (se non interi universi) che riteniamo essere troppo lontani dal nostro personalissimo sistema solare…Eppure molte delle nostre scelte (o non scelte), per quanto insignificanti possano apparire, sono invece in grado di aprire porte interdimensionali e di modificare persino il nostro futuro: ne era convinto Jorge Luis Borges che, nel suo racconto “
Il giardino dei sentieri che si biforcano” si ispirava al concetto di universi paralleli ancora prima che la fisica ufficiale ipotizzasse l’idea dei diversi mondi di una interpretazione derivante dalle meccaniche quantistiche…
E la saga di Star Trek non è da meno, al punto di poter essere presa come metafora ancora attuale per le molte vicende che definiscono la realtà e la Storia, a partire dagli anni ‘60 con la Serie Classica, attraversare gli anni ‘80 e ‘90 con i diversi spin-off e con i primi nove film, per giungere in questo tempo contemporaneo con il prossimo (e che si preannuncia spettacolare) episodio in uscita nelle sale cinematografiche.
Ora, in un articolo uscito di recente sul sito de l’Huffington Post, “Why Captain Kirk Would Intervene in Syria” l’editorialista Michael Peck si immagina un confronto diretto sul tema che avviene tra il capitano Kirk e il suo primo ufficiale Spock:
– Spock: Capitano, abbiamo completato una scansione a lungo raggio del sistema Siryanys Beta. Sembra che sul terzo pianeta stia avendo luogo una guerra civile. La popolazione è in rivolta contro una dittatura brutale che sta usando armi avanzate ad uccide decine di migliaia di propri cittadini.
– Kirk: Non è un problema nostro, Spock.
– Spock: Ho capito bene, signore? Civili innocenti vengono massacrati. L’Enterprise non interverrà per salvarli?
– Kirk: Signor Spock, lei è ben consapevole come la Federazione sia già coinvolta nella guerra nel settore Afghanus Prime. L’economia della Federazione è nel bel mezzo di una recessione, i nostri cittadini sono stanchi dei conflitti e il Consiglio della Federazione non è in vena di autorizzare un altro intervento militare. Queste persone dovranno cavarsela da soli. Signor Sulu, proseguire per la nostra prossima destinazione pattuglia. Velocità di curvatura due…
In realtà l’editoriale è la risposta ad un altro articolo, uscito questa volta sul sito del FP National Security a cura del professor James Arquilla, dal titolo emblematico di “
Would Captain Kirk Intervene in Syria?” e che così concludeva le sue riflessioni:
“Nel mondo di Star Trek, la Prima Direttiva viene utilizzata quale forma di controllo, non come veto assoluto sulla necessità di azione. Per questo [in realtà] ci sono molti interventi e contro-interventi. Il mio episodio preferito è “Guerra privata”, appartenente alla serie originale, l’episodio, dove il capitano Kirk ordina al suo ingegnere capo Scott di realizzare alcuni moschetti a pietra focaia per una tribù di cacciatori di un pianeta dove nel contempo i “cattivi” Klingon avevano provveduto ad armare una fazione avversaria con altre armi relativamente avanzate. Kirk, dopo un doloroso esame di coscienza decise di intervenire, ma in modo “proporzionale”, per ristabilire un equilibrio di potere e sempre nel rispetto (di una interpretazione) della Prima Direttiva.”
Il riferimento alla drammatica e sanguinosa guerra civile siriana è palese, ma semplificare la nostra visione riconducendo il tutto ad un mero problema di regolamentazione del diritto internazionale (che nel mondo di Star Trek è poi la cosiddetta
Prima Direttiva) è la banalizzazione di una vicenda che (purtroppo) non si risolverà con un approccio manicheo di quelli dove tutto è o bianco o nero.
Perplessi? Ecco una storia che ben si presta a farci comprendere la natura di queste situazioni medio-orientali: “Uno scorpione vuole attraversare un fiume, ma non sa nuotare. Chiede a una rana di traghettarlo. La rana non si fida, ma lo scorpione la rassicura: – Se ti pungessi annegherei- . La rana generosamente accetta, ma a metà percorso lo scorpione la colpisce con il suo aculeo velenoso. La rana, disperata e morente, gli chiede – Perché? – Lo scorpione, prima di morire annegato, risponde – Non ci posso fare nulla, questa è la mia natura –“
Questa appena citata è una favola che ispira (e da il titolo a) un episodio della serie Star Trek Voyager, ma è anche citata nel (precedente cronologicamente il telefilm) romanzo “Inshalla” della scrittrice Oriana Fallaci, ambientato durante la guerra civile in Libano degli anni ’80.Tra le pagine del libro ritroviamo, ad un certo punto, la frase significativa:
“Sto dicendo che è troppo facile dar la colpa alla guerra, rifugiarsi dietro l’entità astratta che chiamiamo guerra e a cui ci riferiamo come a una specie di peccato originale, di maledizione divina. Il discorso da affrontare non è sulla guerra. È sugli uomini che fanno la guerra, sui soldati, sul mestiere più antico più inalterabile più intramontabile che esista dacché esiste la vita.”
Ecco che le responsabilità personali di tutto ciò che avviene in un conflitto vengono prepotentemente evidenziate e ricondotte all’individuo e alle sue scelte; ma facciamo attenzione, non dobbiamo limitarci, in questo, a chi deve combattere una guerra, partigiano o militare regolare che sia: coinvolti in prima persona ritroviamo anche giornalisti, diplomatici, spie, uomini politici e uomini d’affare.
E così, forse, non è un caso (Borges ne sarebbe convinto) se proprio Paolo Nespoli, l’astronauta italiano che tanto abbiamo ammirato per le sue missioni nello spazio, racconta di se: “Ad un certo punto della mia vita ho interrotto gli studi universitari e mi sono arruolato. Incursore del “col Moschin” sono stato mandato in missione in Libano. Ed è qui che ho conosciuto Oriana Fallaci. Fu proprio lei, sulla nave che ci riportava in patria a chiedermi “cosa volevo fare da grande”. “Non so – risposi – mi piacerebbe andare nello spazio”. E lei: “tutto si può fare…”. Quando siamo tornati mi ha stimolato a riprendere gli studi e mi ha aiutato.”
Tutto si può fare dunque, ma per arrivare alle stelle dobbiamo in prima istanza riconoscere le nostre responsabilità negli eventi che ci vedono appunto – lo dicevo all’inizio del nostro editoriale di maggio – (troppo) spesso solo spettatori distratti.
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