“… Pensiamo ai film di fantascienza. Anche Godzilla, Alien, BladeRunner, sono una documentazione storica di come ogni epoca rappresenti la propria percezione della paura dell’incognito, del diverso, del nemico.” (Carmine Mezzacappa, Cinema e terrorismo)– E’ una visione assolutamente riduttiva e troppo semplicistica quella che riporta la complessità di un intero pianeta alla cartografia dei “luoghi comuni”.
«Se qualcuno ti offre un posto su una navicella spaziale, non chiedere quale posto avrai: prendilo e basta.» (Sheryl Sandberg)
E’ innegabile: al giorno d’oggi la tentazione è sempre più forte.
Quella di attribuire indiscriminatamente una categoria a tutte le persone che rientrano in un generico insieme, vuoi per nazionalità o per razza, per indirizzo sessuale o religioso o politico.
Non siamo nemmeno più capaci di comprendere la differenza che passa tra i termini alienità, inteso come differenza dal sé che guarda ed il resto del mondo, e alienazione, ovvero la distanza del sé dalla realtà.
Il problema, così facendo, è che alla lunga diventeremo esattamente quello che pensiamo, riconducendo l’essenza stessa della via a mera (pigra) reazione nei confronti di una catena di (spesso) incomprensibili (almeno per noi) eventi.
Dimenticando così di essere una razza di esploratori, motivati da una innata curiosità, piuttosto che protoscimmie stanziali, incapaci di qualsiasi gesto creativo e limitate dalla paura al punto da chiudersi in anguste e buie caverne (intellettuali).
«Tutto quello che hai sempre voluto si trova dall’altra parte della paura.» (George Addair)
Nel corso della Storia, l’umanità si è spesso trovata di fronte ad un bivio (e talvolta anche ad un baratro).
Nulla di eclatante: è successo a innumerevoli generazioni, innumerevoli volte e forse è proprio solo la Storia che ama ripetersi.
Oppure, più semplicemente, è nella natura umana non riuscire a comprendere e ricordare eventi lontani, nel tempo come nello spazio.
Ma la novità di questi anni di inizio XXI secolo è che sembra non siamo più nemmeno in grado di provare empatia verso accadimenti che sono appena al di la del nostro limitato orizzonte planetario.
Altro che esplorazioni: neanche le missioni di soccorso vogliamo più intraprendere!!!
E questo, Signori, altro non è che un’involuzione (chiamatela regressione del sé o decadenza dei costumi, se preferite) che coinvolge la nostra stessa condizione di essere umani.
E mi sembra quasi di vedere, piuttosto che un qualche film della fantascienza più classica, una delle parodie di Woody Allen mentre scopre che i suoi vicini di casa sono tutti alieni.
«Tra vent’anni sarai più dispiaciuto per le cose che non hai fatto rispetto a quelle che sei riuscito a fare sbagliando. Per questo naviga lontano dai porti sicuri. Esplora, sogna, scopri.» (Mark Twain)
E quindi, come ne usciamo?
Rischiando, come sempre, di scadere nel naives, la risposta è che la scelta migliore è proprio quella che conduce verso il sentiero che oggi è il meno battuto (e ovviamente il più disagevole), quello del riconoscimento di una realtà o, se preferite, di una superficie planetaria, non piatta e uniforme, ma tridimensionale e complessa.
E popolata da strane e nuove forme di vita, tutt’altro che omologate se non dalle nostre a false categorie e che rimarranno aliene fintanto che non vinceremo le nostre paure (e le nostre pigrizie).
Per scoprire che, in fondo, il termine “altro” è un’accezione assolutamente relativa: ecco questo è il mondo come visto dal ponte dell’astronave Enterprise…
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