– Si, vabbé, ci sentiamo su Facebook
Gli astronomi ci avvisano che il 2013 potrebbe passare alla Storia come l’Anno della Cometa. Si, lo sappiamo, ogni giorno migliaia di eventi – alcuni drammatici e spettacolari, altri decisamente fatui e insignificanti – si affacciano sul palcoscenico della cronaca; a ben guardare, però, l’attesa di un segno celeste – il grande cambiamento – sembra veramente ciò che gli abitanti di questo povero pianeta alla deriva nell’universo, stiano aspettando. Inconsapevoli, forse, che la vera rivoluzione, la salvezza, nasce dalle persone e dalla loro capacità di comunicare, comprendere e adattarsi…
Editoriale – Aprile 2013
di Giancarlo Manfredi
E’ ormai sensazione diffusa che, al giorno d’oggi, il vero protagonista della comunicazione nella Rete come nei mass-media, nei rapporti interpersonali come in quelli istituzionali, sia il “rumore strillato”.
Così capita che fenomeni come il sovraccarico cognitivo (gli anglosassoni lo definiscono con il termine “information overloading”) o, più semplicemente, la disinformazione sono i significanti – ovvero le forme che rinviano ad un contenuto – dell’inutile diffuso (e deleterio).
Non a caso, nei discorsi quotidiani, ritroviamo battute come quella che descrive “L’informazione (è) come la forma dell’acqua: prende la forma del recipiente che la contiene”, a indicare la totale prevalenza della faziosità dei discorsi sull’obiettività e sull’onestà intellettuale.
A ciò va aggiunta la complessità dei meccanismi (tecnologici ma anche burocratici) che regolano le nostre vite: la velocità del cambiamento congiunta alla parcellizzazione delle competenze rende il tutto ancora più difficile da gestire.
Al punto che i problemi, planetari o domestici che siano, ci appaiono sempre più insormontabili.
Ma esiste veramente un potere occulto che alimenta tale situazione approfittandone perchè sa governare il caos semantico di questa società del XXI secolo?
Di una cosa possiamo essere sicuri: le aziende che operano in rete, gli amministratori dei grandi social network, le società che offrono servizi e contenuti sui media digitali, ma anche le banche, le compagnie telefoniche, le autostrade e i produttori di navigatori gps, le compagnie aree e quelle delle carte di credito, insomma un gran numero di soggetti detengono enormi quantità di dati (questi si che potrebbero rivelarsi significativi) sulle persone.
Anche le istituzioni governative possono avere accesso a flussi informativi con metodi piuttosto invasivi che vanno dalla sorveglianza visiva delle telecamere che ormai monitorizzano le nostre città, all’accesso telematico alle informazioni fiscali, bancarie, sanitarie (etc…) che ci riguardano.
Il quadro che si viene a delineare è piuttosto inquietante, fatto di contrasti e in generale di un impoverimento culturale diffuso a fronte di una altrettanto vasta incapacità di comunicare messaggi significativi e di riprendersi la gestione delle proprie vite.
Ma esistono nel mondo dell’informazione e della comunicazione delle isole felici – magari accessi al cosiddetto web invisibile attraverso terminali nascosti in periferie degradate o in discariche contaminate, come nel più classico dei romanzi cyberpunk?
Se mai una tale realtà esistesse sarebbe contrastata con violenza ed enfasi dai poteri conclamati, con le loro città intelligenti, i servizi machine to machine, i sensori e gli rfid oltre a un ben finanziato (e violento) corpo di cyber-polizia.
Ritornando alla realtà, la domanda forse più concreta è: come ne usciamo da questo labirinto?
Al di là dei grandi ideali quali la solidarietà, la cooperazione, la sostenibilità delle scelte (oltre alle già citate onestà e obiettività), forse dovremmo ispirarci nella nostra “quest” verso la comprensione del mondo proprio ai motori di ricerca su internet, pre-selezionando informazioni che siano verificabili, ordinandole sulla base della loro affidabilità e da queste partire per esplorare i collegamenti che vi si diramano.
Non è un caso che, nel linguaggio comune ormai si utilizza il termine “googlare” quale sinonimo di ricerca su internet attraverso il noto motore di ricerca, oracolo che contiene al suo interno le informazioni relative a più di due miliardi di pagine web.
Termine orrendo, ma, come dice il giornalista Beppe Severgnini in un suo editoriale sul Corriere della Sera: “Qualcuno dirà: non bisogna stupirsi. Ogni nuovo strumento ha creato i suoi vocaboli. Da principio stupiscono, poi ci si fa l’abitudine.”
Ecco allora, in attesa della cometa (o, se preferite, dell’Enterprise di turno che venga a salvarci), proviamo a migliorare la nostra capacità di ricercare il vero e l’utile: potrebbe essere un primo passo; quello successivo sarà riuscire a comunicarlo con gentilezza e, riflettendoci su non sarebbe malaccio riuscire ad arrivarci prima della fine del mondo…
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