“In ogni istante della nostra vita abbiamo un piede nella favola ed un piede nell’abisso.” (Paolo Coelho) – La vita come narrazione, tra prim’attori e comparse, atti coraggiosi e fellonie, avversità e un lieto fine che però, nell’universo reale, è nient’affatto garantito…
Ci sono due montagne dalle cime chiare e luminose, il monte degli animali e il monte degli dei. Tra l’uno e l’altro sta la fosca valle degli uomini. Se mai uno leva lo sguardo in alto è pervaso da un vago, insopprimibile desiderio – egli che sa di non sapere – di quelli che non sanno di non sapere, di quelli che sanno di sapere.
(Paul Klee, Due Montagne)
Non è che sia del tutto sbagliato.
Intendo dire, cercare di comprendere e di navigare il mondo che viviamo attraverso metafore culturali.
Abbiamo infatti, tutti noi, una mitologia personale, una sorta di convinzione di come dovrebbero andare le cose e di quale dovrebbe essere il nostro ruolo nella vicenda.
E se non è detto che tale visione sia sempre e comunque rispondente al vero – ammettiamolo, spesso ci sovrastimiamo un po’, ed è naturale – ci serve comunque, per interpretare gli eventi e per decidere cosa fare e da che parte schierarci.
Nelle narrazioni del fantastico l’eroe (più o meno volontariamente) si trova coinvolto in una “quest”, parte insomma, alla ricerca di quello che è l’oggetto sacro del momento oppure attirato dalla conoscenza ultima o anche solo per trovare la ricchezza, il potere e la realizzazione (sessuale oltre che) sociale…
E’ questa ricerca è assolutamente sana e salvifica: per dirla come Giordano Bruno “Solo gli Dei che sanno tutto – e gli ignoranti che pensano di sapere tutto – non cercano”.
Il problema semmai è quello di “azzeccare” il modello interpretativo giusto: qui entrano infatti in gioco tutti i maestri che abbiamo incontrato, intendendo nel termine non solo i genitori o gli insegnanti scolastici o gli istruttori che possiamo avere avuto, ma anche i modelli culturali prevalenti del periodo.
Ecco li che salta fuori Sartre, mi direte, e in effetti il noto filosofo sosteneva ne La Nausea, come “Un uomo è sempre un narratore di storie, vive circondato dalle sue storie e dalle storie degli altri, attraverso quelle storie vede tutto quanto gli accade. E cerca di vivere la sua vita come se stesse raccontando una storia.”
Ma, farla breve, che sia Il Signore degli Anelli o la saga dei Supereroi Marvel, Star Trek o Star Wars, il Corano o la Bibbia, Marx o Friedman, ai nostri occhi siamo tutti eroi protagonisti e, ad essere sbagliato per il copino che dobbiamo recitare è il “set cinematografico” dell’episodio che stiamo vivendo in diretta…
“Henry Laborit diceva che per essere adiacente allo spaccio di merci, l’informazione deve produrre ansia. È l’ansia che spinge all’azione e, indirizzata nel modo giusto, l’azione diventa compulsiva e si rivolge all’acquisto di merci. Un aspetto positivo dell’ansia per il potere è anche il panico che spinge la gente a delegare l’azione a persone ritenute leader decisionali. Le parole allarme, preoccupazione, pericolo, rischio, sono tra le più usate dall’informazione. Nel nord est non sono solo gli stranieri a creare ansia negli articoli di giornale, anche gli animali fanno la loro parte. Qualcuno ricorderà il feroce corvo che terrorizzava la popolazione nel padovano l’anno scorso. Non resta che tranquillizzarsi con una notizia sulla ricerca: «Il mare sommergerà le città di tutto il mondo», lo studio choc che spaventa il pianeta.” (Natalino Balasso)
Che confusione!
Tutto si mischia in un unico scenario, la conferenza sul clima mondiale (e i nuovi record di temperatura planetaria e di eventi climatici estremi) con le locandine di vacanze sulla neve, uno stato permanente di emergenza terrorismo con lo shopping natalizio, i rigurgiti razzisti con la solidarietà televisiva.
Purtroppo per noi i problemi non si risolvono da soli e, men che meno, con la propaganda se non è seguita da azioni drastiche e concrete.
Giorni fa ho letto una frase significativa su di un blog: “Il mondo che ci siamo costruiti, il mondo che ha gettato le proprie fondamenta su un eroismo fittizio, di carta, è, oggi, un mondo di lupi che massacrano lupi, di bullismo e razzismo. L’eroe di oggi non è quello che sconfigge un intero battaglione di soldati, né che lotta fino allo sfinimento per salvare la “damigella in pericolo”. L’eroe di oggi è l’uomo comune. Che ha un solo obiettivo: sopravvivere.”
Ma è una visione piuttosto cinica e amara, per quanto possa essere realistica, sul ruolo dell’individuo nella nostra società e che certamente contrasta con quegli ideali così “cavallereschi” sui quali stavamo riflettendo al punto da far sorgere dei dubbi anche al più convinto degli avventurieri.
E allora? Mettiamola così (mischiando in un cocktail ad alta gradazione Hemingway con Brecht): dopotutto Il mondo è (o potrebbe essere) un bel posto e vale la pena lottare per esso: (tutti i nostri dubbi sono comprensibili ma) esitare va benissimo, (solo) se poi si fa veramente quello che va fatto…
“Ognuno ha una favola dentro, che non riesce a leggere da solo. Ha bisogno di qualcuno che, con la meraviglia e l’incanto negli occhi, la legga e gliela racconti.” (Pablo Neruda)
Va bene, l’ottimismo e tutto quanto il resto, ma in concreto serve una strategia, tanto individuale quanto collettiva: che dobbiamo fare per fare quello che va fatto?
Vi ricordate il discorso sulle metafore e sugli eroi: in realtà nessun protagonista è mai solo nelle sue avventure: il capitano dell’Enterprise ha il suo equipaggio, Frodo Baggins ha la Compagnia dell’Anello e Luke Skywalker senza Han Solo, Chewbecca, Obi Wan Kenobi, la Principessa, i droidi e tutta la ribellione non sarebbe mai arrivato a sconfiggere l’impero del male…
Di recente, un fisico italiano, Giorgio Paris (e il suo gruppo di ricerca!!!) ha realizzato una scoperta sulle “proprietà topologica degli stormi” che impediscono tanto l’innesco del panico dei singoli individui quanto garantiscono la disposizione difensiva più efficace: la parola chiave è cooperazione.
Laddove infatti esistono dinamiche di gruppo, la risposta migliore (che sia ai predatori come a qualsiasi altra avversità), è una risposta condivisa.
Fateci caso: nelle narrazioni il cattivo più deleterio è spesso una persona debole (e fondamentalmente sola) che si ritrova, ad un certo punto della storia, con un’arma in mano, la prospettiva di un riscatto (di potere, sociale, economico… fate voi) e tradisce le aspettative dei suoi compagni.
Se però è vero che nelle favole i cattivi, alla fine, perdono sempre, il senso comune sembrerebbe suggerire il contrario ma, stravolgendo quanto il Manzoni diceva nei suoi Promessi Sposi, per una volta tanto, proviamo a non fare che il buon senso se ne rimanga nascosto per paura del senso comune: attivate i motori di curvatura, indossate le cotte di maglia e accendete le spade laser e soprattutto trovatevi la vostra compagnia.
Anche se la situazione sembra volgere al peggio, il finale non è affatto scontato…
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