“C’è una legge fondamentale degli studi sul futuro non esistono fatti del futuro. Solo narrazioni.” (Institute for the Future) – Dopotutto cos’è la vita, se non percorre, su di un palco, i sentieri, le rotte, le connessioni attraverso città labirintiche, boschi fatati, mari tempestosi, reti scintillanti. Ruoli, dialoghi e fondali, a ogni atto una scelta, a ogni scelta un dilemma da risolvere…
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Due strade divergevano in un bosco d’autunno e dispiaciuto di non poterle percorrerle entrambe, essendo un solo viaggiatore, a lungo indugiai fissandone una, più lontano che potevo fin dove si perdeva tra i cespugli.
Poi presi l’altra, che era buona ugualmente e aveva forse l’aspetto migliore perché era erbosa e meno calpestata sebbene il passaggio le avesse rese quasi uguali.
Ed entrambe quella mattina erano ricoperte di foglie che nessun passo aveva annerito oh, mi riservai la prima per un altro giorno anche se, sapendo che una strada conduce verso un’altra, dubitavo che sarei mai tornato indietro.
Lo racconterò con un sospiro da qualche parte tra molti anni: due strade divergevano in un bosco ed io… io presi la meno battuta, e questo ha fatto tutta la differenza.
(ROBERT FROST – LA STRADA CHE NON PRESI)
Voi siete gli eroi protagonisti di una storia.
Il problema è che si tratta di una commedia (talvolta farsa, altre volte tragedia) recitata “a braccio”, seguendo al più un canovaccio e magari qualche archetipo.
Vi spiazza questa sorta di illuminazione?
Forse si, ma resta il fatto che avete un ruolo da portare a termine e un “occhio di bue” si è appena acceso sul vostro personaggio.
Prendendo a prestito la definizione scritta da Aristotele dovreste poter riconoscere che siete“colui che agisce, ovvero, colui che compie delle azioni che porteranno a delle conseguenze…“.
In effetti nella Poetica di Aristotele si ritrovano le basi per comprendere i meccanismi delle rappresentazioni teatrali: mimesi (simulazione) e catarsi(purificazione): “La tragedia è dunque imitazione di una azione nobile e compiuta […] la quale per mezzo della pietà e della paura provoca la purificazione da queste passioni”.
Ma l’eroe che avete davanti,quando vi ponete di fronte allo specchio- o al video dello smartphone per un selfie – non è scevro di pathos (emozioni), di debolezze, persino di vizi e di una certa innata malvagità, caratteristiche che (meraviglia!) fanno scattare comunque empatia e condiscendenza nel pubblico: dopotutto lui siete proprio voi.
Ora, nella tragedia classica la mimesi delle storie è “standard” (lo so, lo so, Jung userebbe un altro termine): a causa della sua hybris (la superbia)l’eroe protagonista agisce contro le leggi divine, scatenando l’inevitabile nemesis (la vendetta), una sorta di rappresaglia(che negli spettatori genera un sentimento tanto di pietà quanto di soddisfazione) per suoi misfatti: è il prerequisito per la catarsi (purificazione) finale e, più lunga è la caduta verso l’inferno e maggiore sarà la grandezza dell’eroe (e più vivida la suggestione dovuta alla morale della recita).
E’ pur vero che, come recita Bertold Brecht,“Beato è quel popolo che non ha bisogno di eroi” ma,in fondo, tutto sta a capire quale è il ruolo che vi attende, vittima inconsapevole sull’altare delle umane politiche, uomo comune che si supera ritrovandosi nella fossa dei leoni quotidiana o “ubermensch” come raccontato da Nietzsche?
“Agnosis” è la parola greca per il termine “ignoranza” e non è un caso se proprio l’ontologia sia quella branca della metafisica che si occupa della natura umana e Platone, nella sua Apologia di Socrate, fa pronunciare la famosa frase al filosofo ateniese: “Certo sono più sapiente io di quest’uomo, anche se poi, probabilmente, tutti e due non sappiamo proprio un bel niente; soltanto che lui crede di sapere e non sa nulla, mentre io, se non so niente, ne sono per lo meno convinto, perciò, un tantino di più ne so di costui, non fosse altro per il fatto che ciò che non so, nemmeno credo di saperlo.“
Parole grazie alle quali ora sapete di non sapere(se non con grande approssimazione e poche certezze): è persino difficile provare come la vita non sia solo una simulazione emozionale, una sorta di esperimento nella penna di uno scrittore (o, come nel film Matrix codificata negli algoritmi di un computer); resta il fatto che ogni mattina vi attende un ruolo, alcune battute più o meno felici e le mille scelte di un copione che non vi riesce proprio di mandare a memoria.
Prendete allora un grosso respiro e via!
Dopotutto è un palco dove potete persino permettervi di mostrare qualche umana debolezza: lo studioso di mitologia Jean-Pierre Vernant sosteneva come “ […] la catastrofe che si produce, quella subita da un uomo non spregevole né cattivo, apparirà come del tutto probabile o necessaria. In altri termini, lo spettatore che vede tutto ciò prova pietà e terrore, ed ha la sensazione che quanto è accaduto a quell’individuo avrebbe potuto accadere a lui stesso.”ed è ancora più lampante quando comunicate connessi a reti digitali e i vostri messaggi (la narrazione dell’attore), si contendono il tempo,l’attenzione e l’applauso (i like) del pubblico.
Tutto poi sta a vedere a quale genere di rappresentazione siete destinati ma, intanto, eccovi qui, ancora una volta sulla breccia, ancora una volta ad un bivio, a una decisione: si va in scena!
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