“Quando tutto attorno è buio non c’è altro da fare che aspettare tranquilli che gli occhi si abituino all’oscurità.” (Haruki Murakami) – Il mondo ha tremato di fronte a un minuscolo virus uscito dalle foreste dell’Africa e, per qualche tempo, gli abitanti della cosiddette nazioni sviluppate hanno seguito sui media una catastrofe umanitaria con lo stesso sguardo di chi teme che un ladro possa bussare alla porta di casa…
Oh, come sono permeabili le frontiere umane! quante nuvole vi scorrono sopra impunemente, quanta sabbia del deserto passa da un paese all’altro, quanti ciottoli di montagna rotolano su terre altrui con provocanti saltelli! Devo menzionare qui uno a uno gli uccelli che trasvolano che si posano sulla sbarra abbassata? Fosse anche un passero la sua coda è già all’estero, benché il becco sia ancora in patria. E per giunta, quanto si agita! Tra gli innumerevoli insetti mi limiterò alla formica, che tra la scarpa sinistra e la destra del doganiere non si sente tenuta a rispondere alle domande “ Da dove? ” e “ Dove? ” Oh , afferrare con un solo sguardo tutta questa confusione, su tutti i continenti! Non è forse il ligustro che dalla sponda opposta contrabbanda attraverso il fiume la sua centomillesima foglia? E chi se non la piovra, con le lunghe braccia sfrontate, viola i sacri limiti delle acque territoriali? Come si può parlare di un qualche ordine, se non è nemmeno possibile scostare le stelle e sapere per chi brilla ciascuna? E poi questo riprovevole diffondersi della nebbia! E la polvere che si posa su tutta la steppa, come se non fosse affatto divisa a metà! E il risuonare delle voci sulle servizievoli onde dell’aria: quei pigolii seducenti e gorgoglii allusivi! Solo ciò che è umano può essere davvero straniero. Il resto è bosco misto, lavorio di talpa e vento. (Wislawa Szymborska)
Già, i virus, come il vento e gli animali migratori e (talvolta) le idee, non conoscono confini politici. In questo senso la globalizzazione – qui intesa non solo come movimentazione su scala mondiale di persone, merci e informazioni, ma soprattutto come forma di governo planetario da parte di entità sovranazionali presiedute da Consigli di Amministrazione – non aiuta. Tutto diventa infatti complesso: il cambiamento climatico (globale), la crisi economica (globale), i network terroristici (globali), le siccità, le pandemie. E, se per questo, anche la paura è contagiosa e segue ne più, ne meno, gli stessi modelli di propagazione studiati dagli epidemiologi.
“Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca.” (Gino Bartali)
La risposta a crisi complesse non sta in soluzioni singole e scoordinate tra di loro e brevimiranti: l’unica risposta possibile, anzi, va ricercata applicando un vero e proprio cambio di paradigma. Rivedere insomma concetti base come quelli di “Comunità” e di “Condivisione”. Così, ad esempio, se l’afflusso di migranti è una criticità (e senza dubbio lo è, ponendo enormi questioni di sicurezza, sanità, sociali prima ancora che economiche), dovremmo adottare un diverso modo di interpretare il termine “Accoglienza”. Trovare insomma le valenze positive nel processo, in grado di mitigare gli aspetti (appunto) emergenziali, ribaltando il cambiamento in opportunità. Non è certo lucrando sulle risorse dedicate ai migranti o sfruttando i clandestini come lavoratori coatti che risolveremo la questione, bensì realizzando un percorso che inizia molto prima dello sbarco per avviare un processo di integrazione destinato a svilupparsi nel tempo necessario a annullare le cause stesse delle migrazioni. Ma resta il fatto che se pure abitiamo in piccole comunità (relativamente) isolate, in realtà viviamo comunque sullo stesso pianeta e se è vero che basta il classico battito d’ali di una farfalla in Cina per scatenare un tornado a Kansas City, figuriamoci il resto…
“Alice: – Per quanto tempo è per sempre? Bianconiglio: – A volte, solo un secondo.” (Lewis Carroll)
Nel frattempo però, ci sono dei processi che stanno via, via acquisendo un’inerzia enorme e che, con l’immobilismo, difficilmente saremo in grado di contrastare, far regredire e quindi invertirne il processo nell’arco di una singola generazione. Disarmare un odio religioso, istruire alla tolleranza, passare ad una economia sostenibile, ridurre le emissioni di CO2 o ridistribuire eticamente le ricchezze, sono obiettivi ottimali in un unico grande scenario circoscritto; variabili da impostare (se vi è più semplice pensate ad un acquario, con temperatura da controllare, salinità e durezza dell’acqua, ore di luce, piante e animali compatibili, immissione di cibo…) con l’obiettivo di raggiungere un equilibrio dinamico. Il numero delle tempeste o dei conflitti o delle carestie, tutto è collegato e contrastarne gli effetti non sarà sfida ne breve, ne semplice.
“Chiedere a chi ha il potere di riformare il potere: che ingenuità!” (Giordano Bruno)
Ma a chi spetta allora il compito di trovare una soluzione ad un sistema che somiglia molto da vicino a una reazione a catena inarrestabile? Serve forse un leader carismatico, un profeta, un rivoluzionario? Naaah… Ciò che serve piuttosto è una generale assunzione di responsabilità: servono onestà, consapevolezza, voglia di lavorare. Poniamo piuttosto domande, cerchiamo di essere critici, non fermiamoci alla superficialità delle cose. Limitarci ad assumere posizioni preconcette e partigiane, dividendoci ogni volta in guelfi e ghibellini, comporta l’unico risultato di generare sterili dibattiti. Forse un po’ di sana umiltà e capacità di ascolto ci potrebbe aiutare anche nel trovare risposte inattese, persino su questioni che ci sembravano poco rilevanti, laddove invece rischiamo di dare ragione a Umberto Eco quando parla in tema di social network…
“La tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità. I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli.” (Umberto Eco, Numero zero, sulla sindrome del complotto,)
Nel mese di aprile in Italia si sono collegati a Internet 29,2 milioni di utenti unici: ad annunciarlo è la relazione periodica di Audiweb che tira le somme dell’Italia digitale e che ci svela che in una giornata media 17,2 milioni di utenti navigano online da dispositivi mobili (smartphone e tablet), per un tempo medio di 1 ora e 37 minuti ciascuno. La Rete quindi, luogo complesso per eccellenza, sempre più sta divenendo una sorta di città virtuale (Matrix?), alter ego e avatar della nostra società. Questo, ovviamente nel bene e nel male, perché in realtà sembra proprio che i contenuti, la conoscenza ed il messaggio trascendono dal media, nonostante quanto sosteneva Marshall McLuhan nel suo “Gli strumenti del comunicare”, dicendo che “il medium è il messaggio”. La qualità dell’approccio personale e collettivo alla Rete, la volontà di trovare risposte e soluzioni, la consapevolezza di fragilità e pericoli impliciti (dopotutto predatori e vicoli malfamati esistono anche nelle città virtuali), sono i primi elementi da mettere in campo, per poter ideare i nuovi modelli di interventi condividendone quindi le soluzioni operative che saranno poi da applicare nel (complesso) mondo reale.
“Non abbiamo bisogno della magia per cambiare il mondo, dentro di noi abbiamo già tutto il potere di cui abbiamo bisogno: è il potere di immaginare un mondo migliore.” (JK Rowling)
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