“Ogni gruppo dominante considera la sua violenza come parte dell’ordine naturale delle cose.” (Amira Hass)
Nella tassonomia che attiene al genere umano rientrano, prepotentemente, i beni e servizi comuni, importanti sia strategicamente (come l’acqua, l’energia o, più in generale, le risorse naturali) che per valenza sociale (come la sanità, l’educazione e tutto ciò che rientra nella sfera del welfare-state). Oggi siamo consapevoli che, oltre ad attirare il pensiero di sociologi e filosofi, tali elementi hanno da sempre richiamato interessi di tipo politioco ed economico, ma il problema da risolvere, quello della ricerca di un equilibrio tra pubblico e privato, è la loro corretta gestione oltre ad una accessibilità garantita per tutti…
Partiamo con un esempio pratico: dice Seth Godin, nelle ultime righe di un suo recente manifesto sul sistema scolastico: “Il miglior modo di lamentarsi è fare qualcosa.”
Ora, stiamo parlando di un famoso innovatore ed esperto di marketing, che crede in una nuova società (successiva al periodo da lui definito “televisivo-industriale”) dove sono le idee (il termine usato è “IdeaVirus”) che devono guadagnarsi l’attenzione per la loro qualità e non per il fatto di essere urlate o falsamente suadenti.
Nel suo documento salta agli occhi la visione evolutiva di una scuola, che oggi riscopriamo statica nei programmi e votata al mantenimento di uno status quo socio-culturale, quando invece dovrebbe ricercare ben altre forme di insegnamento al fine di trovare risposte alle sfide che il presente e (soprattutto) il futuro lanciano alle nuove generazioni.
Ma la creatività, la passione e la curiosità qui ricercate, possono far parte di una corretta gestione dei beni pubblici?
Dalla normativa discende che non ogni cosa è un bene (oggetto di diritto) in senso giuridico, sia perché vi sono cose che non possono essere beni, e cioè quelle che gli antichi chiamavano res communes omnium (ad esempio l’aria) rispetto alle quali è profondamente errato costituire un rapporto giuridico, sia perché vi sono beni che sono costituiti da entità non materiali.
Sappiamo altresì che per bene o servizio comune si intende tutto ciò che non è proprietà di nessuno, ma viene condiviso quale ricchezza sociale che a sua volta deriva dalla solidarietà umana, non intendendo quindi le sole componenti naturali di un ecosistema o le risorse territoriali di una nazione, ma anche il patrimonio artistico, storico, scientifico e, in definitiva, tutte le forme della conoscenza.
Così, in un tempo storico caratterizzato da evidenti difficoltà planetarie a livello ambientale e dal manifestarsi di gravi conseguenze economiche dovute a una globalizzazione incontrollata, nuvole foriere di tempesta gravano sul bene pubblico: si va dal degrado e dall’impoverimento del servizio offerto allo spreco vero e proprio, dall’abuso e dal furto indiscriminato alla mancanza di attenzione e cura di ciò che non attiene alla sfera privata.
Il venir meno del bene comune inteso come presupposto della convivenza, potrebbe essere direttamente collegato con il pericolo per la civiltà stessa, laddove idee come la “res publica” romana o il “pascolo comune” delle città nel medioevo europeo sono sempre stati tra gli elementi chiave che hanno contribuito al progresso pacifico e al benessere della società umana.La cultura (nell’esempio che abbiamo esaminato quella “scolastica”) è, in tale ottica, un bene-servizio irrinunciabile anche se, sul pianeta Terra nei primi anni del XXI secolo, se ne stava perdendo la consapevolezza, sfiorando quel “limite” così pericolosamente correlato con l’espressione teatrale di “farsa che finì in tragedia”.
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