“Il tempo è la cosa più importante: esso è un semplice pseudonimo della vita” (Antonio Gramsci)
Ah, il tempo!
E’ un argomento così vasto, quasi una dimensione a sé, al punto da disorientare la mente più razionale nel momento in cui se ne parla.
Difficile persino non scadere nel banale, raccontando quella che in realtà è l’esperienza più comune: dagli attimi interminabili a quell’appuntamento col destino che ci sembra irraggiungibile, per accorgerci, alla fine, che il tempo è volato troppo in fretta, se mai è stato sufficiente a perseguire il nostro obiettivo.
In effetti, proprio durante una delle sue avventure stellari il capitano Picard arriva a pronunciare che: “Qualcuno una volta mi ha detto che il tempo è un predatore che ci aspetta al varco per tutta la vita, ma io credo che il tempo sia un amico che ci accompagna e ci ricorda di godere di ogni istante, perché quell’istante non tornerà mai più. Quello che ci lasciamo alle spalle è meno importante di come abbiamo vissuto. Dopo tutto Numero Uno, siamo solo mortali.”
E questo ci lascia poco spazio… volevo dire poco tempo, per immaginare il futuro.
Fortuna per noi il filosofo Zygmunt Bauman (senza pretendere di insegnarci come condurre la nostra esistenza) ci suggerisce che “il futuro non esiste, [ma] va creato”.
Intende dire che nell’attuale presente (si, proprio mentre leggete queste parole) “…viviamo in un interregno, un’epoca in cui il vecchio muore e il nuovo non può nascere” ci ritroviamo insomma in una sorta di stallo, di ponte sottile tra due tempi, il passato e, appunto, il futuro.
Ecco, esattamente come, nel 1959, quando c’erano nel nostro paese bambini che per andare a scuola, dovevano attraversare il fiume Panaro in teleferica.
Cosa che dovrebbe ricordarci, per analogia, quei migranti che oggi, in cerca di un tempo futuro migliore, attraversano il mare su dei barconi fatiscenti, pilotati da Caronte in persona.
Tra l’altro riproponendo un tempo passato nel quale anche gli italiani attraversavano l’Atlantico, non senza tragedie del mare come quella della nave Sirio.
Siamo d’accordo, non è che anche da noi, in questo presente, manchino le persone con poche o nulle prospettive economiche, ma attenzione, limitandoci a tale considerazione rischiamo di vedere le cose da una prospettiva molto, molto bassa e certo a breve termine.
Ma la Storia (che col tempo ha un rapporto piuttosto stretto) invece ci insegna che, oltra ai meccanismi contingenti (per esempio – casuale, s’intende – i rigurgiti di razzismo) esistono delle tendenze secolari che agiscono con un momento vettoriale persino più forte di quello dei motori a impulso sull’astronave Enterprise.
Sempre Bauman, in una recente intervista sulla società che ci aspetta, viene a dire che “le migrazioni sono inseparabili dalla modernità. Infatti una caratteristica della modernità è la produzione di persone superflue”.
Forse – e la cosa andrebbe detta con la massima umiltà possibile anche se si vivesse nel XXIII secolo – dovremmo ogni tanto scendere dalla nostra personalissima astronave, evitare di delegare le relazioni personali al solo mondo virtuale che viene proiettato su di uno schermo (computer o televisione che sia) e soprattutto trovare il tempo di RIFLETTERE.
Ci sono troppe distorsioni (e non solo nella fabbrica dell’universo), ma una cosa è certa: per quanto basiamo il fondamento della nostra personalissima soddisfazione sul mantenimento di uno status quo (il passato idealizzato nel presente), difficilmente potremo restare a lungo così, sospesi nello spazio.
E, soprattutto, nel tempo.
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