“Il mondo moderno è una questione tecnologica più che sociale.” (Marshall McLuhan) – Ma ne siamo proprio, proprio sicuri?
Oggi, durante un noioso turno di guardia sul ponte dell’Enteprise, si chiacchierava sul senso della democrazia presente nella letteratura terrestre del XX secolo.
A riprova che, in un periodo storico ancora “pre-curvatura”, si fosse già pienamente in grado di distinguere i segni di un’involuzione etica all’interno della cultura globale, ho citato “Fahrenheit 451“, un romanzo scritto da Ray Bradbury, del quale la nostra biblioteca di bordo conserva una copia originale.
Il protagonista della narrazione, fa parte di un corpo speciale preposto alla distruzione dei libri, quali oggetti considerati dalle autorità destabilizzanti per lo status quo; in questo modo, dalle parole dell’autore viene definito un nuovo concetto di alienazione, che non dipende più dalla difformità – dall’essere diverso o straniero – ma da quel senso di omologazione per cui l’atto stesso di leggere un libro è considerato eversivo nei confronti della società intera.
Pedante come sempre, il nostro ufficiale scientifico ha allora proiettato sullo schermo principale un rapporto di poco successivo a quel periodo, diffuso dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, in merito alle competenze degli adulti tra i 16 e i 65 anni di età in 24 paesi tra il 2011 e il 2012.
E, poiché nella nostra orbita stavamo sorvolando l’Italia ha scelto di mostrare i dati relativi a quella nazione.
Già all’epoca pare risultasse che “…il 70 per cento della popolazione italiana aveva competenze ritenute al di sotto del minimo indispensabile per vivere e lavorare nel ventunesimo secolo. Solo una parte arrivava al secondo livello sia nelle competenze alfabetiche (42 per cento) sia in quelle di calcolo (39 per cento), mentre quasi tre italiani su dieci erano al primo livello o anche meno nei due ambiti di competenza. Queste persone, nel migliore dei casi, erano in grado di leggere solo testi relativamente brevi per cogliere un’informazione contenuta, comprenderne un vocabolario di base, determinarne il significato di una frase oltre a leggere in modo abbastanza fluente testi più lunghi. Sempre nei migliori dei casi, potevano risolvere operazioni aritmetiche di base, capire percentuali semplici e identificare elementi in semplici grafici o tabelle.”
Questa volta però il collega vulcaniano non mi ha colto impreparato e ho controbattuto con il risultato di una ricerca sempre relativa a quell’epoca storica, secondo la quale se una domanda di tipo politicamente neutrale faceva emergere l’identità dei “ragionatori più scarsi”, una domanda che fosse invece politicamente connotata, tendeva a far rispondere sulla base all’ideologia prevalente (ovvero a far “sragionare”) anche le persone diciamo “più avvezze alla logica”.
Mi si è chiesto allora un esempio concreto e ho portato il punto di vista di Bill Gates – un famoso personaggio storico – in merito alle potenzialità della comunicazione sulla rete Internet quale strumento per risolvere i problemi mondiali: egli si domandava retoricamente se fosse “più importante, la capacità di connettersi o il vaccino per la malaria?” rispondendo di seguito che “Se pensate che la chiave stia nella capacità di connettersi, benissimo. Io no.”
Per quanto controverso (e spesso colto in flagrante errore), Gates è rimasto noto per il suo ruolo imprenditoriale nel settore dell’informatica; la sua risposta, tendente a negare il peso della comunicazione interattiva, dipendeva chiaramente da una posizione politica contrapposta alle tendenze tecnologiche del momento.
Infatti, proprio allora una delle aziende emergenti, chiamata Facebook, nel tentativo di recuperare lo svantaggio nei confronti della Microsoft creata da Gates, stava mettendo a punto una serie di progetti sull’intelligenza artificiale e, in particolare, sui nuovi software di “deep learning” da sfruttare sul proprio network.
L’idea di fondo era quella di imitare le reti neurali della neocorteccia cerebrale in un approccio semantico, ovvero di comprensione della lettura di testi.
Ancora oggi ben ricordiamo le conseguenze nefaste di tale progetto, ma il punto che voglio dimostrare è che il problema non doveva porsi nei termini di “smettere di vaccinare i bambini africani per destinare risorse a progetti di connettività Internet.” quanto, piuttosto che, ispirate dalla dea Minerva, le genti dell’epoca avrebbero dovuto sostenere “ogni progetto, da quelli giganteschi dell’ex capo di Microsoft a quello più piccolo e marginale di un gruppo di volontari in una periferia del mondo” che fossero in grado di migliore le condizioni abitative sul pianeta.
“Infinite diversità in infinite combinazioni”, insomma, ma una diffusa omologazione culturale, assommata alla scarsa propensione alla lettura critica e al ragionamento obnubilato dalle ideologie furono tra i meccanismi della catastrofe planetaria!
Nel romanzo citato il protagonista oppresso da situazioni personali critiche e spinto dalla curiosità, alla fine leggerà un libro che doveva distruggere, scoprendo tra le pagine l’unica strada in grado di condurre l’umanità oltre lo sfacelo a cui una civiltà del genere è predestinata; nella realtà, purtroppo…
“- Mi permette una domanda? Da quanto tempo lavorate agli incendi?
– Da quando avevo vent’anni, dieci anni fa.
– Non leggete mai qualcuno dei libri che bruciate?
Guy Montag rise.
– Ma è contro la legge! È un bel lavoro, sapete. Lunedì bruciare i luminari della poesia, il mercoledì Melville, il venerdì Whitman, ridurli in cenere e poi bruciar la cenere. È il nostro motto ufficiale.”
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