“Ebbene cittadini sensori, sensori significa che sono sentinelle del territorio, e non cantori del territorio quando ormai il danno è successo, o per auto promuoversi.” (Elena Rapisardi) – Le scoperte degli scienziati che studiavano la disciplina delle Neuroscienze Cognitive permisero alla società umana del XXI secolo, la visione di nuove prospettive sulla relazione tra cognizione e sistema sensori-motorio…
“Chi non conosce le parole è un cittadino dimezzato” (Tullio De Mauro)
Nel 2013 il prestigioso Oxford Dictionaries scelse di premiare il termine selfie, usato dagli utenti dei social per indicare l’abitudine di posare da soli davanti allo smartphone.
Ma si trattava solamente di un ennesimo altare delle vanità artificiali?
E, un autoscatto pubblicato su Instagram equivale all’atto di condividere un’immagine allo specchio del proprio Se ?
Osservare il mondo è un’azione in realtà complicata e le ricerche che erano seguite alla scoperta dei “neuroni specchio” avevano già messo in luce il ruolo del sistema sensorio-motorio nel generare la cognizione.
In altri termini il funzionamento di queste cellule neurali introduceva l’idea di un meccanismo biologico in grado di aiutarci a comprendere attività umane quali l’apprendimento, la comprensione degli altri, l’altruismo tout-court e persino le decisioni economiche.
E non parliamo esclusivamente dell’azione di osservare un “Altro Se”: anche la narrazione (nel caso specifico la lettura) di una specifica azione può indurre nell’osservatore l’attivazione di quell’identico circuito nervoso preposto a controllarne la reale esecuzione: questo è il paradigma dell’Embodied cognition[1].
Ma ritorniamo allora alla citazione di Elena Rapisardi, esperta in comunicazione dell’emergenza, con la quale abbiamo iniziato la nostra riflessione.
L’autrice specifica infatti che: “Monitorare come sensore il territorio significa contribuire a leggere e interpretare il territorio. Contribuire a svelare e a rendere trasparente la vulnerabilità esperita e non percepita, e a conoscere la vulnerabilità, anche chiedendo. E in questo le istituzioni dovrebbero collaborare: inondare i cittadini di informazioni organizzate, esplicite e comprensibili e ascoltare la voce del territorio.”
Questo genere di lettura della realtà sarebbe quindi non soltanto qualcosa che “pensiamo”, ma una sorta di chiave di comprensione e, nel contempo, attivatore del cosiddetto effetto priming[2] confermando che le azioni precorritrici come la lettura non agirebbe soltanto su di noi a livello cognitivo o provocandoci emozioni, ma ci “allenerebbe” alle situazioni che affrontiamo ogni giorno e ci fornirebbe “strumenti” per gestirle.
In un’epoca nella quale (a ragione) si temeva che “la tecnologia superasse l’intelligenza sociale”[3], si scoprì come l’atto di osservare, ascoltare, leggere, e perfino immaginare un’azione, poteva innescare la simulazione automatica di quella stessa azione in una sorta di pre-rappresentazione, a sua volta responsabile di una forma di pre-comprensione della realtà.
Attenzione, non stiamo qui parlando di idee stereotipate[4], ma dell’osservazione della vita (o delle sue molte realtà alternative prima delle nostre azioni) che ci viene da una “lettura” preliminare di un’avventurosa azione.
Tutte queste scoperte aprirono, nel XXI secolo, la lettura di nuovi orizzonti.
“Quei morti non ci perdoneranno mai perché noi dovevamo sapere e lo dovevamo dire. Dovevamo sapere che lasciar costruire centrali nucleari in riva al mare poteva essere un modo per rendere micidiale per secoli un evento micidiale ma passeggero come uno “tsunami””. Dovevamo sapere che cementare gli stagni per fare parcheggi o costruire villette a schiera sui letti secchi dei fiumi significa sfidare gli eventi eccezionali perché diventino carneficine. Ma le centrali nucleari in riva al mare sono state fatte, gli stagni prosciugati, i letti dei fiumi edificati. E oggi, al capezzale della civiltà, a noi intellettuali ci chiedono parole di sostegno. Ma un appello al mondo quando la tragedia si è consumata è tempo perduto. La parola sostegno dovrebbe corrispondere a urlare No tutte le volte che si avallano decisioni e situazioni insostenibili. Continueremo a maledire la nostra “malasorte”?” (Marcello Fois)
[1] un insieme di teorie secondo le quali tutti gli aspetti della cognizione (idee, pensieri, concetti e categorie) sarebbero forgiati attraverso il corpo: il sistema percettivo, il sistema motorio, le attività, le interazioni con l’ambiente.
[2] l’attivazione, subito prima dello svolgimento di un compito, di particolari associazioni legate a quel compito già presenti in memoria
[3] Vint Cerf
[4] Scrive a questo proposito Annamaria Testa in un suo post: “In sostanza, gli stereotipi sono un po’ come il colesterolo, che può essere “buono” o “cattivo”: accresce la stabilità meccanica delle cellule ma può anche occludere i vasi sanguigni e uccidere l’organismo. Il livello di colesterolo è connesso con l’alimentazione, l’esercizio fisico, lo stress. Con gli stereotipi succede (quasi) la stessa cosa. Una moderata quantità di stereotipi ci aiuta a mantenere un’identità stabile, ma quando un eccesso di stereotipi si consolida in un blocco di pregiudizi, ostruisce ogni ragionamento. La malattia può derivare da un’alimentazione intellettuale costituita da idee-spazzatura. Stress (paura, rabbia), manipolazione e disinformazione propagandistica, inerzia e passività possono peggiorare la situazione. E tutto questo può uccidere.”
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