“Non troverei niente di disonorevole nel fatto di discendere da una scimmia, se questo ha aiutato l’uomo a diventare intelligente.”
Così almeno diceva Thomas Henry Huxley, ma è cosa risaputa che l’evoluzione darwiniana riguarda piuttosto la mutazione e la trasmissione ereditaria di quei geni che comportano il migliore adattamento in funzione delle mutevoli condizioni ambientali.
Esiste tuttavia una seconda teoria evolutiva, quella relativa alla cultura di una società, dove sono le informazioni ad essere trasmesse, attraverso la narrazione delle storie, l’educazione e l’imitazione comportamentale.
Difficile stabilire il rapporto tra le due diverse forme evolutive (esiste un gene della cultura?) tuttavia la capacità di adattarsi ai cambiamenti è sinonimo di miglior sopravvivenza (e quindi di intelligenza) in entrambi gli ambiti, sia naturalistico che sociale.
Poniamoci allora due domande: ma siamo veramente esseri migliori? E ancora, cosa differenzia l’uomo moderno dai suoi antenati?
Ad osservare un ingorgo stradale, un derby calcistico come pure un comizio politico, le differenze non sembrerebbero molto “significative” e del resto è anche (purtroppo) vero che il nostro povero paese si dingue oggi tra le nazioni europee per aver un rapporto “spesa pubblica per l’istruzione”/”PIL” che lo colloca al 22° posto.
Allora il problema non risiede tanto nell’eredita genetica quanto nello scarso patrimonio culturale dei nostri rappresentati governativi che sembrano non essersi evoluti mentre il mondo attorno continuava (e continua nonostante le nostre vane pretese) a cambiare.
Risale a pochi giorni fa la famigerata frase del vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli, pronunciata nei confronti del Ministro dell’Integrazione Cècile Kyenge: “Amo gli animali, orsi e lupi, com’è noto. Ma quando vedo le immagini della Kyenge non posso non pensare, anche se non dico che lo sia, alle sembianze di un orango”.
Solo una questione di punti di vista?
Per quanto nel proseguo si sia tentato di far passare l’accaduto come una semplice “caduta di stile” oratoria, purtroppo la semantica implicita, offensiva e razzista, è lampante.
Indifferenti del fatto che dal punto di vista scientifico, come precisa Guido Barbujani, presidente dell’ Associazione Genetica Italiana: “L’essere umano e l’orango hanno il 95% del patrimonio genetico in comune. […] Gli orango sono la specie meno antropomorfa delle quattro, perché appartengono al ceppo asiatico. L’essere umano, come i bonobo, gli scimpanzè e i gorilla, appartiene al ceppo africano. L’affinità genetica con gli scimpanzè si attesta al 98,5%”, da sempre nell’iconografia razzista le persone non caucasiche sono paragonate ai primati.
Darwin quindi non c’entra nulla (tra l’altro a livello genetico condividiamo parte del codice con tutte le specie viventi); sono piuttosto chiamati in causa alcuni (bassi) istinti che poco hanno a che fare con la civiltà che, tra le altre cose è fatta anche di educazione, capacità di integrazione, valorizzazione delle diversità e autocontrollo delle pulsioni istintive, ovvero di tutti quegli atteggiamenti irriflessivi e sanguinari che qualcuno potrebbe anche definire “animali”.
Ci siamo, ecco il punto: non è una posizione politica pro lo «ius sanguinis» e contro lo «ius soli», ma la scelta di denigrare una persona per il suo aspetto esteriore a rivelare uno stato di involuzione culturale, sorta di gene recessivo, che purtroppo ogni tanto fa la sua ricomparsa nella nostra società.
Come ne usciamo?
Sicuramente dovremmo imparare a distinguere, i “memi” (gli equivalenti metafisici dei geni) più “prestanti” in termini di evoluzione culturale da quelli che sono un retaggio arcaico e che ci possono portare a una interpretazione, forse gratificante dei nostri bassi istinti, ma certo mistificante della realtà.
Poi basterebbe un po’ di sana onestà intellettuale, unita con una dose di quel sano pensiero scettico, lo stesso che lo scienziato Carl Sagan nel suo volume “Il mondo infestato dai demoni” associava “…ai mezzi per costruire, e per capire, un’argomentazione e – cosa particolarmente importante – per riconoscere un ragionamento sbagliato o fraudolento.”
Insomma un po’ di quell’intelligenza evolutiva che è propria dei primati, ma che per qualche misteriosa involuzione di alcuni membri della specie ogni tanto si perde per strada…
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